E il tempo era finito, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune delle cose, e del dire e del fare e delle banalità di un mondo fatto di gente che faceva tristezza.
Gran cosa avere un’ideale o cento o mille, se poi, la pigrizia mentale concorre a crear l’equivoco e a venir giudicati non già con un criterio obiettivo e razionale, ma piuttosto a piacere di speciali impulsi e oscure tendenze.
Le condizioni dell’apparir chiamano tendenze, usi e costumi strani, e sono anch’essi l’illusione di questo tempo spento nella nostra coscienza presente.
Siamo i limiti della nostra memoria, e come affermare se passione e ragione, istinto e volontà, tendenze e idealità, costituiscano sistemi distinti, e non le ragioni del cuore a cui affidare un pensiero a un prossimo vicino che era passato di li.
Il nostro è un continuo risorgere, sedersi, alzarsi, sedersi e poi ancora alzarsi, o meglio dormire come fosse un rigore mobile, un equilibrio alla ricerca di una linea sottile su cui muovere passi.